lunedì 8 marzo 2010

Recensione su Parolibero


Per chi pensa che il cinema italiano non possa essere solo rappresentato da Moccia, Muccino e mocciosi vari, Domiziano Cristopharo rappresenta certamente una valida speranza per il futuro. Attore, sceneggiatore e regista, fin da quando era molto giovane ha coltivato la sua grande passione per il cinema sfruttando appieno il piccolo vantaggio di essere nato nella capitale dell’industria cinematografica italiana, Roma, spendendo ogni energia nel fare esperienza in maniera trasversale in molti settori di questo mondo, partendo sin dai più umili, passando per il teatro e giungendo, nel 2008, alla realizzazione del suo primo lungometraggio in qualità di regista: il controverso e molto discusso House of Flesh Mannequins, che tanto ha fatto parlare la critica, e che riceve ancora importanti gratificazioni soprattutto a livello internazionale.
La prima esperienza deve aver significato molto per Cristopharo e per lo stesso produttore Daniele Panizza, perché, dopo solo poco più di un anno, ecco il secondo film dell’artista romano: The Museum of Wonders.
Presentato nel suggestivo scenario del Castello della Cervelletta, luogo che è stato anche teatro per alcune scene del film, l’opera ha costituito il tema di una due giorni aperta al pubblico, il quale poteva confondersi agli attori e ad altri inconsueti personaggi che hanno ricreato le atmosfere spiazzanti, ma allo stesso tempo attraenti, respirate durante la proiezione.
La pellicola ci conduce in un trip felliniano dalle tinte orrorifiche all’interno di un mondo di freak di ogni genere: dalla donna barbuta, al mangiatore di spade, da soggetti con mutilazioni o malformazioni fisiche, a clown postpunk al nano proprietario del particolare “baraccone”. Con un plot visionario che segue un ritmo quasi onirico, Cristopharo, che qui recita anche in un piccolo ruolo, non tratta mai dell’esposizione o della spettacolarizzazione della diversità, ma descrive il dietro le quinte dello show, e quindi la vita reale di quelle che non sono altro che persone, con pregi e difetti.
Amore, gelosia, amicizia, vendetta: un teatro degli orrori che porta in scena sullo stesso palcoscenico la miseria e lo splendore degli istinti umani, mescolandoli abilmente come carte sul banco di un abile prestigiatore, e celandole, agli sguardi più superficiali, dietro maschere ingannevoli fino all’incredibile. Un film che vuole essere tutt’altro che un’apologia di un particolare schieramento; in quest’opera non alberga alcuno stereotipo: l’unico messaggio è che il bene e il male sono in ognuno di noi, prescindendo da abiti, forme e colori. Ognuno può essere buono o cattivo, e proprio quando credi di aver compreso la vera indole di qualcuno, la sorpresa è dietro l’angolo pronta a strabiliarti, in positivo o in negativo.
Costato solo 27.000, a fronte dei 300.000 previsti inizialmente, The Museum of Wonders è una produzione indipendente che, a scapito di ciò, non mostra alcun limite qualitativo del caso, anzi! Un film “love budget” come lo ha definito il regista in sede di presentazione, proprio per sottolineare l’amore e la passione di chi ci ha lavorato, che ha permesso di superare gli impedimenti ed i normali problemi che, soprattutto in Italia, un prodotto culturale-artistico che non gode di sovvenzioni statali può incontrare durante il processo della propria realizzazione. Si parla di un gruppo di lavoro di tutto rispetto che comprende interpreti già affermati come Francesco Venditti, Maria Rosaria Omaggio, Venantino Venantini, Maria Grazia Cucinotta assieme ad altri praticamente esordienti come i protagonistiValentina Mio nella parte di Salomè e Fabiano Lioi nella parte del nano Marcel, i quali hanno dato prova di grande sicurezza davanti alla macchina da presa, in un film difficile come questo, contenendo anche scene abbastanza forti oltre che di nudo.
L’intento artistico dell’autore si completa grazie alla splendida fotografia di Giuseppe Pignone, ed alla sceneggiatura, opera del poeta Elio Mancuso che, grottesca e tagliente, scongiura una possibile facile ridondanza mostrando spesso picchi di gustosa ironia.
The Museum of Wonders è un lungometraggio consapevolmente fuori dagli schemi che sembrerebbe essere stato ideato con il preciso intento di andare a pizzicare, uno ad uno, tutti i falsi pudori e tabù rimasti in piedi nella “moderna” società in cui viviamo: tutti elementi che contribuiscono da sempre a tenere schiacciati nella nicchia una serie di valenti artisti con l’unica colpa di voler approfondire lati della psiche umana e sentimenti che sembrano non dover mai trovare visibilità, ma rimanere chiusi a chiave nelle viscere di ognuno di noi, nell’ipocrita illusione che non esistano, in favore dell’amore da cioccolatino e da sms. Adatto solo a chi non è avvezzo ad indossare paraocchi e non giudica un libro dalla copertina.

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